L’invidia è una brutta bestia. No, esagero, l’invidia è una bestia e basta.
Per quanto mi riguarda, è un salmone.
È tenace come un salmone che risale la corrente, anzi, usando un termine che va di moda da quando siamo stati rinchiusi in casa con la museruola (anche conosciuta come mascherina), resiliente, capace di di affrontare e resistere ad un evento traumatico senza rompersi.
Cavolo, mi piace la parola “resiliente”. Vuol dire tutto e niente.
Io sono un invidioso, anzi, schiatto di invidia, soprattutto di fronte a quegli eventi o casualità che il mio piccolo cervello giudica ingiusti. Solo per quelli, però.
Per esempio se qualcuno che conosco o che non conosco vince dei soldi ad un concorso o viene estratto per un premio, o che ne so, per un evento del tutto fortuito arriva ad un risultato positivo, io non sono invidioso. Proprio per niente. Al massimo dico: che culo. Ma poi finisce lì.
Se per caso a qualcuno muore un parente ed eredita una cifretta o un immobile, là comincio ad essere invidioso chiedendomi perchè la sua gioia derivi dagli sforzi, le fatiche, il lavoro, la resilienza di qualcun altro. Ma poi mi passa.
Se invece, non sia mai, qualcuno che conosco arriva a qualsivoglia genere di risultato positivo immeritatamente, per piaggeria, per leccaculismo o anche soltanto perchè mediamente la gente non capisce un cavolo di qualcosa pur essendo convinta di capirci e giudica il mio soggetto d’invidia con scarse competenze, beh, là divento verde. Non come un salmone, non sono daltonico.
È lì che esce fuori il mio Hulk personale: il mostro dell’invidia. Sì, perchè odierò lui, ma soprattutto chi l’ha scelto, giudicato o eletto senza reale giudizio. Là mi ergo a paladino dei giustiziati e dico “che mondo ridicolo quello dove la competenza fa rima con conoscenza” e rosico come un castoro. Che anche lui non è ne rosa ne tantomeno verde.
Però non è che poi mi fossilizzo lì, eh? Vado avanti per la mia strada, magari borbotto dieci minuti, dico qualche parolaccia e il verde torna ad essere rosa pallido. Come un salmone. Come il mio animale resiliente per antonomasia.
Ripeto, mi piace la parola “resiliente”.
Come quando dico che mi sto rompendo le palle, ma in effetti poi stanno sempre lì.